Durante un ciclo di incontri pensati per i malati di Parkinson e i loro familiari, ho avuto modo di mettermi in contatto con certe loro paure ma anche con le loro profonde risorse. La solitudine ha due facce: pericolosa presenza da scacciare ma anche silenziosa e preziosa compagna di vita. Percezione questa che tutti abbiamo provato almeno una volta nella nostra esistenza.
Sola è una persona chiusa in una stanza, isolata dal resto del mondo. Sola è una persona che, pur in mezzo alla gente, non si sente ascoltata. Sola è una persona che si chiude nel suo silenzio per riflettere, prendere contatto con se stessa, rigenerarsi dalle fatiche del quotidiano….
La solitudine non è uno stato fisico né una malattia. E’ piuttosto una condizione mentale ed emotiva, legata alle proprie percezioni.
E’ possibile condividere la solitudine?
Di per sé la domanda porta un paradosso: se la condivido, non sono più solo. Condividere la solitudine è impossibile, fosse solo per il diverso vissuto che ognuno di noi porta con sé.
Però è possibile condividere il “senso di solitudine” (ciò che comporta e come mi fa sentire). E questo aiuta a spiegare agli altri come ci fa sentire, cosa proviamo in sua presenza, così come aiuta a comprendere come si può sentire chi ce la racconta.
Per scelta o per obbligo?
La solitudine viene spesso ricercata: è “una coperta calda”, un rifugio dalla realtà che spesso non piace, un momento per stare con se stessi, recuperare le forze, i propri pensieri…
Ma più spesso ci viene imposta e la subiamo: “mi sento solo anche in mezzo alla gente”, dimenticato dalle istituzioni, provo sconforto, paura….
La solitudine del malato è….
La relazione con gli altri spaventa e questa paura è accentuata dalla malattia. Capita di chiudere i battenti al mondo e di rinchiudersi in se stessi per difendersi da ciò che sta fuori, che sentiamo così diverso da noi, così minaccioso…Di conseguenza si ricade nella solitudine. Nella malattia sei solo, sei tu che la vivi e devi lottarci. La malattia ti cambia…vuoi poter condividere certe cose con gli altri ma anche prendere le distanze, riflettere in solitudine…
La solitudine del caregiver è….
In realtà però c’è sempre qualcuno che ci sta vicino, che, se glielo permettiamo, vuole a suo modo prendersi cura di noi! Quando vede vanificati i suoi sforzi ad aiutarci, quando non sa come sollevarci, quando si sente inutile…anche il caregiver si sente solo! E’ importante imparare a rispettarsi, imparare a rispettare le proprie “ansie”, le paure, i dubbi, il proprio sentire da quello dell’altro ma è altrettanto importante riconoscere e rispettare la “solitudine” di entrambi.
Come si vive la solitudine in coppia?
Ci sono cose che si possono condividere e altre che preferiamo tenere per noi. La difficoltà sta nel far combaciare i momenti di “voglia di solitudine” o “voglia di condivisione” con l’altro. Conta molto anche l’influenza che il carattere ha sulle persone (chi è più o meno taciturno e introverso…). Se conosciamo chi ci sta accanto, non dobbiamo temere la solitudine se è ricercata ma cercare il dialogo se invece la sentiamo imposta!
Solitudine vuol dire paura?
“Crea paure oscure, paura che non mi sentano, fa paura pensare al futuro, la solitudine imposta fa paura, la paura della degenerazione….”.
Non necessariamente solitudine significa paura ma è più frequente invece il contrario: la paura a volte può portare alla solitudine perché se forte, paralizza e allontana.
“Nessun uomo è un’isola” (John Donne, ripreso da Hemingway): nessun uomo così com’è può bastare a se stesso, ha bisogno degli altri, della relazione con gli altri. Non possiamo restare isolati, abbiamo bisogno di costruire ponti per congiungerci ad altre isole e assieme creare arcipelaghi!
La solitudine ha quindi due facce. Non domata può diventare una cattiva consigliera. Addomesticata può diventare preziosa compagna di vita: prendere consapevolezza della nostra solitudine ci permette di farne una risorsa disponibile e di apprezzare maggiormente le relazioni con gli altri.
La solitudine diventa quella “spinta” dalla quale partire per uscire fuori, confrontarsi con gli altri, chiedere e accettare aiuto, quella capacità di reagire e comunicare senza mezzi termini, senza sviare. Non poniamo l’attenzione solo alla nostra solitudine ma anche a quella degli altri. Avere attenzione per gli altri (persone o animali) aiuta a mettere in secondo piano le proprie “magagne” per sopperire a quelle degli altri; ne deriva un senso di utilità… se impegnati a fare altro, la solitudine si avverte meno!