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Dietro la porta ancora chiusa di uno studio di psicologia si cela uno scenario fantastico nell’immaginario collettivo: ci sarà forse una sfera magica dai poteri paranormali sulla scrivania dello psicologo? Una bacchetta magica in grado di fare chissà quali incantesimi? Forse il più azzeccato lettino alla Freud dove stendersi e aprire la propria mente con la sola imposizione di un dito sulla fronte?

Attualmente niente di tutto ciò! Escluse a priori sfera e bacchetta magiche, il lettino è solo un caro ricordo, ormai superato per i più, e sostituito dalle più comode e “confidenziali” poltroncine, una di fronte all’altra per agevolare la comunicazione, per potersi guardare negli occhi mentre si parla, senza impedimenti ed ostacoli di alcun genere. Per quanto mi riguarda, nemmeno una scrivania che potrebbe porre quella distanza non solo fisica ma anche di ruolo che rischia di mettere a disagio chi mi si siede davanti.

Una luce soffusa che rilassa, un buon profumo di pulito nell’aria, arredo piacevole che lascia tracce di me e della mia professione in ogni dove, e quella porta sempre ben visibile alle mie spalle. Io lì ci lavoro e non ho motivo di voler “scappare” almeno fino a che non ho finito le mie ore di lavoro ma tu potresti sentirti più a tuo agio nel sapere che in qualsiasi momento sei libero di prendere quella porta e uscire.

Devo dire però che non è mai successo, nessuno fino ad oggi ne ha mai sentito l’esigenza e io del resto faccio in modo che questo luogo, fisico e mentale, diventi uno spazio accogliente, protetto, contenitivo, rassicurante e neutrale dove tutto ciò che all’interno si dice o si agisce qui resta a meno che non sia tua volontà esplicita portare anche fuori.

Questo spazio è un piccolo mondo in miniatura che necessita però di alcune semplici regole per funzionare, così come succede nel mondo “fuori”. Non a caso to set in inglese significa allestire (una stanza), mettere ordine, stabilire dei confini, regolare. Senza regole regnerebbe il caos (si usa dire) e la “regola” vale anche qui: il setting psicologico è anche quell’insieme di regole che organizzano i comportamenti e la relazione efficace tra professionista e paziente. Ci sono per esempio la regola dell’orario (ogni seduta dura dai 45 ai 60 minuti. Si auspica puntualità ed educazione del disdire per tempo un appuntamento) e quella della frequenza (solitamente gli incontri, soprattutto all’inizio, hanno cadenza settimanale ma sono contemplati anche appuntamenti ogni 15 giorni) e dell’onorario (io sono solita farmi pagare ogni seduta singolarmente ma ci si può concordare). Certo non tutti le seguono alla lettera; c’è chi ritarda senza avvisare, chi arriva prima e deve attendere fuori, chi non se ne andrebbe più sbordando involontariamente nell’ora del paziente successivo ma “don’t worry”, non ci sono sanzioni da pagare se non si rispettano tutte le regole, solo una bona occasione per poterne discutere assieme in seduta, perché qui, più che altrove, ogni gesto, ogni azione, compiuta o meno, hanno un significato ben preciso.

Ovviamente ogni regola vale anche per me: la mia puntualità, la mia professionalità, la mia correttezza (non sarebbe carino fumarti in faccia, rispondere al telefono mentre mi parli, inviare un messaggio o dare una sbirciatina su facebook, o assentarmi anche solo per un attimo lasciandoti lì da soli) parlano del mio rispetto per te e per la sofferenza o il disagio che porti.

Ecco che allora io, con le mie idee, le mie emozioni, il mio modo di essere, anche in relazione al tuo essere e tu, con le tue idee, le tue emozioni e il tuo modo di essere anche in relazione al mio, insieme alle regole, allo spazio e al tempo che ci dedichiamo formiamo un setting psicologico!