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In quest’ultimo anno le richieste d’aiuto per affrontare una separazione sono aumentate vertiginosamente nel mio piccolo studio. Tutte donne, seppur di età diverse, tutte lasciate “improvvisamente” dal marito o dal fidanzato, tutte con un gran vuoto da colmare e la sensazione di non potercela fare a vivere senza quell’uomo.

La fine di una relazione importante comporta il dolore del fallimento, la fine di sogni, speranze e progetti, il naufragare degli affetti. E’ una sorta di lutto, il lutto dell’abbandono, una ferita d’amore totalizzante perché riguarda me, l’altro, i figli, le famiglie d’origine, i parenti, gli amici, la comunità. Ma è totalizzante anche perché invade e pervade tutta la persona, a livello affettivo, emozionale, relazionale, mentale e spirituale. L’urgenza principale nell’affrontare tutto ciò è la necessità di trovare un SENSO, di dare un significato a tutto quello che sta succedendo. Il cruccio maggiore cercare di capire PERCHE’, perché proprio a me, cosa ho fatto per meritarlo! Ci si trova improvvisamente SOLI, “come dentro ad una morte” e la domanda principale è: come ripartire dopo una morte? Come ricostruirsi? Come tornare a vivere?

Dovremo però prima fare un passo indietro e capire perché è finita. A sentire un po’ di pareri di giovani e anziani, le cause sembrano essere l’impazienza, la non disponibilità a sopportare le lacune e i limiti dell’altro, le maggiori difficoltà anche economiche che una coppia deve affrontare al giorno d’oggi, la poca buona volontà di rimediare e la scarsa propensione alla comprensione, il non rispetto dei desideri altrui al punto da pretendere che l’altro faccia quello che vogliamo noi. Non c’è più la capacità e probabilmente la voglia di superare assieme gli ostacoli, andare avanti e al primo problema è più facile separarsi. Non si sanno più fare sacrifici: siamo abituati troppo bene, vogliamo che tutte le cose vadano come vogliamo noi e non sopportiamo che qualcuno o qualcosa abbia il “potere” di modificarle.

Si tratta forse di EGOISMO?? Non propriamente. Di fatto è cambiato il modo di guardare alla persona e a noi stessi, insomma a guardarci dentro e ad ascoltarci. In quest’ottica l’ALTRO non è importante in quanto tale ma SERVE a me, è in funzione di me. Ci si dimentica così o si evita di confrontarsi con l’altro (finendo invece per attaccarlo e reputarlo la causa di tutti i nostri mali) e con se stessi per la paura di perdersi e non (ri)trovarsi. Ognuno risolve il suo problema individualmente, inseguendo la propria soddisfazione, il proprio bene e non il bene comune. Difficilmente si cerca di fare un lavoro su di sé per capire eventuali lacune, comportamenti inadeguati, possibili errori, responsabilità ma si tende a voler cambiare l’altro e se non ci si riesce addirittura a sostituirlo. La crisi non viene vista come un’occasione di crescita, di cambiamento nelle modalità relazionali ma come qualcosa davanti al quale arrendersi, fermarsi per poi cambiare rotta. Questo avviene solitamente in almeno uno dei due partner ed ecco che, invece di dialogare e chiedere aiuto, ci si allontana sempre più fino a prendere strade diverse.

Quando un amore finisce bisogna prenderne atto ma quando è solo messo in stanby c’è ancora un barlume di speranza e se la voglia di collaborare è di entrambi, perdersi per poi ritrovarsi è davvero possibile!