Ho colto all’istante il suggerimento di organizzare e proporre un ciclo di incontri sul tema “La donna e i suoi ruoli sociali”, nonostante dubitassi in una numerosa partecipazione.
Cinque le donne coinvolte, il numero giusto per creare un gruppo affiatato e aperto all’ascolto non giudicante delle esperienze altrui, al dialogo costruttivo e al confronto.
E’ nel gruppo che queste donne hanno riscoperto la voglia di mettersi in discussione, di parlare di sé, di ammettere le proprie debolezze. E’ nel gruppo che hanno trovato quella solidarietà che ha permesso loro di capire che non erano le sole a trovarsi a vivere certe situazioni, a provare determinati sentimenti, a non sentirsi sempre a loro agio.
Hanno ammesso di esser partite titubanti sull’utilità di questi incontri, sia per le tematiche trattate che per la modalità di conduzione del gruppo ma la curiosità ha avuto la meglio e la loro presenza costante ha permesso a tutte di giungere alla fine soddisfatte del percorso fatto. Sono entrate chi come moglie stanca delle incombenze familiari, chi come madre delusa, chi come lavoratrice battagliera ma credo siano uscite tutte come “donne nuove”!
Qui di seguito le riflessioni che le hanno portate al cambiamento….
Due grandi insiemi che si intersecano: l’universo maschile e quello femminile. Il primo popolato da mariti, padri, figli, amici, fratelli, lavoratori, amanti ma pur sempre UOMINI! Il secondo affollato da mogli, madri, figlie, amiche, lavoratrici, amanti ma…davvero DONNE?
Dietro questa celata (forse neanche troppo) provocazione si nasconde una grande verità: la donna negli anni ha acquisito maggiori “privilegi” e diritti a scapito però della sua vera essenza. Ruoli sociali prestabiliti ma soprattutto pesanti stereotipi culturali hanno imbrigliato la donna in un vortice di doveri e responsabilità che rischiano di farle perdere di vista il piacere e la consapevolezza del suo esistere.
Alla donna viene solitamente chiesto di diventare una buona moglie, dedita alla casa, al marito e ai figli, casalinga quindi ma anche lavoratrice. Se qualcosa nell’organizzazione familiare non funziona a perfezione la responsabilità è prevalentemente femminile.
Mi è stato fatto notare come le stesse insegnanti a scuola, obbligate a scrivere una nota all’alunno indisciplinato si rivolgano con un “gentilissima signora” alla madre piuttosto che con un più generale “cari genitori”…come se il padre fosse in qualche modo esente dall’essere responsabile dei comportamenti “inadeguati” dei figli.
Una persona che nasce anatomicamente e fisiologicamente con caratteristiche procreative viene considerata e identificata come potenziale madre piuttosto che come donna.
Essere donna non per forza significa essere madre così come essere madre non per forza necessita di accantonare la donna!
Avete fatto caso alle pubblicità sui giocattoli per bambine che ci propina la tv con insistenza? La mini cucina, il ferro da stiro e il Ciccio Bello. Già da bambine ci viene insegnato quale sarà il nostro futuro!
Mogli e madri per volere personale ma anche per necessità economica ormai diventano anche lavoratrici, lavoratrici non riconosciute a tutti gli effetti come tali però! Uomini e donne in ambito lavorativo hanno forse gli stessi diritti e le pari opportunità? Quante sono costrette a scendere a compromessi per non rinunciare ad uno solo dei loro ruoli?
Sembra una battaglia persa a priori ma di battaglia infine non dovrebbe trattarsi: le donne non devono dimostrare niente a nessuno eppure pare sia proprio questo il motore che le spinge a “fare” (perdendo di vista l’ “essere”!)…dimostrare quanto valgono a qualcuno (sia esso il marito o il datore di lavoro…comunque sia una figura maschile) e forse è quanto vogliono indirettamente e inconsapevolmente dimostrare a se stesse!
C’è però un ruolo esclusivo che permette alla donna di sentirsi “veramente” donna: la donna immagine. Corpo come oggetto da esporre, corpo da correggere alla ricerca di una ipotetica perfezione mai raggiungibile, corpo da sottoporre ad interventi estetici di varia natura, corpo che non può invecchiare. Nemmeno in questo ambito la donna è libera di essere semplicemente donna…
Possiamo allora riassumere i comportamenti femminili in due grandi categorie: le donne che dipendono da un ruolo, dove la relazione più o meno subordinata con una figura maschile è il fondamento della loro vita e quelle la cui esistenza si orienta sui binari dell’indipendenza e dell’autonomia.
Il primo gruppo rispecchia in realtà i modelli più ricorrenti, quelli universalmente accettati dalla tradizione: la moglie, la mamma…In questi ruoli la presenza maschile è indispensabile. Senza la figura dell’uomo il ruolo perderebbe di senso, non avrebbe modo di essere interpretato e quindi vissuto. Ecco dunque il disagio, la frustrazione, la confusione: senza un uomo queste donne rischiano di perdere la loro vera identità, non sanno più chi sono!
Le appartenenti al secondo gruppo invece si sentono prima di tutto donne, consapevoli di sé, dei loro limiti e delle loro capacità, indipendentemente dal ruolo che ricoprono. Sono fondamentalmente “libere”! C’è da aggiungere però che questa libertà potrebbe risultare solo apparente se incapaci di creare legami soddisfacenti e duraturi con l’altro sesso.
La donna allora si re-inventa amante e qui il tabù naturalmente è nascosto dietro all’angolo. Può esserlo ma in totale segretezza. Il ruolo è “scomodo” perché non socialmente accettato e condiviso, per questo volutamente lasciato in disparte. Ecco che paradossalmente, anche in questo caso, la donna si trova costretta in un ruolo che le appartiene fino ad un certo punto, sicuramente non nei modi che desidererebbe.
La parola chiave allora è DIGNITA’: dare o ridare dignità ad ogni ruolo!
L’opportunità che ha la donna di “uscire” da questi ruoli convenzionali sta nel riacquistare la consapevolezza di essere DONNA prima di tutto, di vivere con dignità i ruoli che per scelta libera ha deciso di interpretare, sta nel cercare di costruirsi un’identità del tutto personale, una creazione di sé che le deriva proprio dal fatto di non essere assoggettata ad un modello precostituito.
E’ in questa costruzione che la donna può prendere le distanze da ciò che in maniera ridondante le viene proposto o peggio sottilmente imposto ed acquisire una criticità positiva (perché non porta al senso di colpa) rispetto all’immagine che ha e che dà di se stessa.